Era un sabato mattina, c’era il sole e Napoli era in fermento come al solito nelle zone del centro storico, e io dovevo pulire le vetrine del negozio.
Lo avevo già fatto tante volte. Semplice e “pulito” come lavoro. Ma non era il solito sabato. Quel mattino mio fratello mi chiamò e mi disse che aveva un “brutto male”.
Restammo a telefono per un tempo indefinito. Non so cosa gli dissi. Molte volte in questi casi non ci sono le parole giuste, ma si vuole far sapere che “ci sei”.
Ripresi a lavorare e piazzai la scala vicino alla vetrina per pulirla. Non feci caso al fatto che la strada fosse leggermente in pendenza e che avessi messo la scala in posizione non corretta rispetto alla pendenza. Mi accorsi anche che non tutti i piedi della scala “toccavano” a terra. Mi guardai intorno, e raccolsi un pezzo di carta per “stabilizzare” la scala: la famosa zeppa.
Salii sulla scala e dopo poco, non so perché, sono caduto. Ho battuto la testa e purtroppo sono morto.
In tanti si sono chiesti perché.
Eppure la scala era a norma e aveva anche i corretti riferimenti alla norma UNI 131.
La scala era di mia proprietà. L’avevo comprata io da poco, era nuova.
Mi fecero anche l’autopsia per capire se avessi preso la scossa da una presa che penzolava fuori alla vetrina. Ma non era stata quella la causa.
Ah, dimenticavo. Ero un lavoratore autonomo di quelli di cui all’art. 21 del D.Lgs. 81/08, quello che recita quanto segue:
Articolo 21 – Disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile e ai lavoratori autonomi
1. I componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’articolo 2222 del Codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti devono:
a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III, nonché idonee opere provvisionali in conformità alle disposizioni di cui al Titolo IV;
b) munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al Titolo III;
c) munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto.
2. I soggetti di cui al comma 1, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico hanno facoltà di:
a) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
b) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.
Ma non lo conoscevo questo art. 21. Non lo avevo mai letto. Anzi non avevo mai letto il D.Lgs. 81/08.
Ma ogni volta che lo rileggo (e qui dove sono ne ho di tempo per rileggerlo) mi accorgo che non era un obbligo partecipare a corsi di formazione specifici in materia di sicurezza. È facoltà!!!
Quindi se è facoltà non è un obbligo e allora mi chiedo come avrei potuto conoscere i rischi connessi all’utilizzo della scala.
E nemmeno era obbligo (ma facoltà) di beneficiare della sorveglianza sanitaria. E se fossi caduto per le vertigini considerata anche la mia età?
Forse se avessi fatto una visita dal medico competente avrei saputo che non potevo salire sulla scala. E forse non sarei morto!
E poi un amico qui, e vi dico che qui dove sono di amici “morti” come me (quelli delle “morti bianche”) ce ne sono tanti, mi ha detto che c’è un altro articolo del D.Lgs. 81/08 che non conoscevo:
Art. 113 Scale
5. Quando l’uso delle scale, per la loro altezza o per altre cause, comporti pericolo di sbandamento, esse devono essere adeguatamente assicurate o trattenute al piede da altra persona.
Quindi forse non dovevo utilizzare la scala da solo e dovevo andare a fare quel lavoro con un’altra persona? Ma io ero un lavoratore autonomo e mi hanno dato questa definizione:
Lavoratore autonomo: secondo la definizione il lavoratore autonomo è un lavoratore indipendente ovvero che svolge la propria attività da solo, senza l’aiuto di propri dipendenti o equiparati (quindi senza organizzazione) e che si impegna a portare a compimento una determinata opera che gli è stata affidata dal committente con gestione a proprio rischio.
Alla fine sono morto per colpa mia, perché la gestione del rischio era a carico mio e perché il rischio di cadere dalla scala (e poi morire) era proprio della mia attività.
Sono morto per un rischio proprio!!!
Un’ultima cosa. Ma perché qui ci chiamano “morti bianche”? Continuiamo a chiedercelo tutti noi quassù ma non riusciamo a darci una risposta.
Ing. Carmine Piccolo